Trasformare gli anni di studio in anni di lavoro serve a raggiungere prima la pensione. E ad innalzarne l’ammontare. Ma non sempre conviene. Chi ha ampi margini di deducibilità, chi potrebbe aver bisogno di liquidità, chi inizia a lavorare giovane, può scegliere la previdenza complementare.
Riscatto o non riscatto?
È questo il dilemma che molti giovani si pongono dopo la laurea, all’ingresso nel mondo del lavoro o in corso di carriera. Di fronte a un costo da sostenere spesso consistente, nella prospettiva di un traguardo da raggiungere sempre più di là da venire, il dubbio è se conviene o se non sia il caso dì impiegare la stessa somma in un fondo pensione.
Con il riscatto laurea è possibile trasformare gli anni di studio in anni di lavoro a fini pensionistici. I contributi versati assumono una duplice valenza, sia ai fini del raggiungimento del diritto alla pensione sia per incrementare l’importo della pensione stessa. Un’opportunità particolarmente rilevante con l’attuale metodo di calcolo della pensione di tipo contributivo: vale a dire che i contributi versati si sommano lungo l’arco di tutta la carriera del lavoratore e vengono rivalutati anno per anno in base alla media del Pil degli ultimi 5 anni.
Versare più contributi, da non solo la possibilità di raggiungere prima la pensione, se sì è iniziato a lavorare tardi, ma anche di ricevere un assegno mensile più elevato. Ma i vantaggi sono uguali per tutti?